It’a Bomb, di recente approdato sugli scaffali, è solo uno dei tanti giochi firmati Christian Giove che ha trovato un vastissimo riscontro tra il pubblico e oggi, in quest’intervista che Christian ci ha gentilmente concesso, indagheremo su che cosa si cela dietro a titoli come questo.
Insieme abbiamo chiacchierato dei tanti aspetti della vita di un autore di giochi, game designer nonché lead developer di un’importante azienda italiana, e abbiamo svelato per voi qualche piccolo segreto.
Buona lettura.

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Qual è stato il momento esatto della tua vita in cui hai capito che non volevi fare l’astronauta ma l’autore di giochi da tavolo?

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I giochi (nel senso più ampio possibile: giochi da tavolo, librigioco, videogiochi, giochi di ruolo, ecc.) sono sempre stati la mia passione, assieme a quasi ogni altro aspetto dello spettro creativo. Da allora non ho mai realmente smesso di giocare. Come per molti, all’inizio della mia carriera come autore il game design era un’attività secondaria, che affiancavo al mio vecchio lavoro (grafica, web design e comunicazione web), ma l’ho fatto sin dal principio con l’idea di farne il mio lavoro principale… per quanto quasi tutti mi dicessero che era quasi impossibile vivere solo di game design. Alla fine pare avessi ragione io. XD

E meno male! ^_^ Hai seguito quindi un percorso formativo specifico che ti ha portato ad essere quello che sei ora?

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Oggi esistono numerosi percorsi formativi specialistici (qui a Torino abbiamo ad esempio i corsi di game design tenuti dalla Scuola Holden e dalla Scuola Internazionale di Comics) che sono un forte acceleratore per un aspirante game-designer. Quando io ho iniziato ad approcciarmi a questa professione (7 anni fa) ancora non ce n’erano, quindi nel mio caso sono stato completamente autodidatta.

Da cosa dipende, secondo te, il fatto che esistono pochi (e spesso costosi) percorsi di studi dedicati alla tua professione? Immagino che questo sia un fattore che potrebbe far desistere aspiranti game designer dal seguire questo percorso.

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Penso sia normale. È un settore piccolo ed è quindi un mestiere che in Italia è svolto con successo da poche decine di persone, molte delle quali lo fanno come attività complementare a un altro lavoro. E se guardiamo poi ai game designer che come me vivono solo dei proventi dal settore ludico (tra royalties per i propri giochi e consulenze per gli editori), forse non superiamo la dozzina di persone. Per altri mestieri esistono centinaia di corsi dedicati, ma anche decine di migliaia di posti di lavoro. Tutto è proporzionale.

Forse, dopo la pandemia, che ci ha costretto in casa e ci ha spinto a cercare nuove forme di intrattenimento, i giochi da tavolo e affini sono tornati ufficialmente alla ribalta dopo anni di quiescenza. Anche se il mondo ludico sembra entrato nella sua età d’oro, come riportato anche sul Washington Post, con sempre più giochi pubblicati e un numero di giocatori costantemente in crescita, resta il fatto che a questa categoria non viene riservata quell’attenzione pubblica di cui altri settori dell’intrattenimento godono. Cosa ne pensi?

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Certamente un gioco da tavolo per le sue caratteristiche intrinseche è più difficile da spettacolarizzare e trasmettere a chi non lo sta giocando. Basti pensare a quanto può essere più cinematografico il trailer di un videogioco, usando solo effettivi momenti di gameplay.

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Va anche tenuto conto che l’Italia è un settore particolare del mercato ludico: sebbene siamo cresciuti moltissimo, siamo ancora enormemente indietro rispetto alla media europea a livello di diffusione del gioco e di giocatori; nel corso degli ultimi 10 anni siamo stati superati di molte lunghezze anche da Paesi che partivano da più indietro di noi. Ma non saprei dirti le ragioni di questo apparente “freno a mano tirato” del settore italiano. Alcuni davano la colpa al clima mite (inverni più brevi e tanto sole che spingevano meno le famiglie e gli amici a chiudersi in casa a giocare) ma siamo stati superati anche da Paesi come la Spagna, climaticamente affini a noi.

Quando penso ad un autore, alla sua storia, al perché è diventato quello che è, cerco sempre di immaginare da dove è iniziato tutto, qual è stata la scintilla che ha dato origine a quell’ evoluzione che lo ha portato fino alla meta, quindi ti chiedo: ricordi il primo gioco che hai creato?

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Il mio primissimo regolamento risale alle elementari, quando intorno agli 8 anni creai un insieme di regole per giocare assieme agli amici con i lego medievali (che prevedeva punti vita, tiri per colpire, riduzione dei danni in base a scudi/armature, movimento a piedi o a cavallo, danno delle armi, abilità speciali dei personaggi unici e altre regole). Alle medie creai anche i miei primi giochi da tavolo, con tanto di scatolina fatta a mano e disegni delle carte fatti da me… un mio amico ancora ne possiede uno.

Quando si dice “ce l’hai nel sangue”! Se penso al processo di creazione di un gioco immagino la mente dell’autore come se fosse il Big Bang, con infinitesime particelle di millemila elementi diversi che si incontrano, si scontrano, si fondono per dare origine a un’ opera unica, quindi mi chiedo: da cosa sono rappresentate queste particelle nel cervello di Christian Giove?! Quali sono le fonti da cui normalmente trai ispirazione?

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Hai presente “tutto”? Ecco. Letteralmente tutto. Io per carattere sono onnivoro e mai sazio di ogni forma di input (libri, serie tv, videogiochi, fumetti, anime, saggi, documentari, ecc.) e amo esperire più cose possibili: è davvero difficile che io ti dica “no” se mi proponi qualcosa… senza contare che sono quasi sempre in movimento, come i tonni o i border collie. Tutti questi input, nei momenti di quiete e di noia, vanno poi a ricomporsi in un caleidoscopio di forme generando idee o suggestioni. Poi naturalmente passare dall’idea al gioco/fumetto/progetto effettivo non è automatico e molte idee non ce la fanno, altre finiscono in stand-by (ho un moleskine in cui segno tutti gli spunti di meccaniche, ambientazioni, storie o concept che trovo interessanti ma su cui non ho tempo di lavorare), mentre solo una piccola parte arriva alla fine sugli scaffali.

Come si ferma il processo creativo? Come fai a dire “adesso basta, il gioco è fatto”?

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Oh, questo non accade MAI.
Si tratta sempre di una (piccola) forzatura, almeno per me. Se dovessi seguire il mio istinto andrei avanti a fare micro modifiche e piccole migliorie per anni: non esiste nessun gioco, nemmeno tra i più famosi, che non possa essere ulteriormente migliorato o limato. Una delle cose che si imparano da autore è capire quel punto in cui oggettivamente non vale più la pena continuare a lavorare al “fine-tuning” perché ormai lo si sta facendo per noi stessi e non più per il giocatore che lo prenderà in mano. Questo vale anche in ogni altro settore creativo come la scrittura, la composizione musicale o la pittura.

Esiste un gioco che avresti voluto ideare tu? Se sì, ovviamente vogliamo sapere quale!

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Questa è una domanda molto difficile a cui rispondere… credo che mi sarebbe piaciuto creare un gioco iconico per il settore come Ticket to Ride o Pandemic, giochi che sono entrati nell’immaginario collettivo. Per ora non è stato così, ma c’è tempo.

Lo so che non si dovrebbe mai chiederlo a un padre, ma noi in fondo siamo qui per indagare nel profondo, quindi ci corre l’obbligo di chiedertelo: qual è il gioco di cui vai più fiero? E perché?

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Si sa che il gioco preferito è sempre l’ultimo perché in qualche modo incarna l’attuale punto di arrivo di un percorso che, si spera, è fatto di continui mutamenti e miglioramenti. Il gioco di cui al momento vado più fiero è sicuramente Alpaca, che troverete nei negozi tra un paio di mesi (anche se la prevendita è già aperta). Si tratta di un deck-building leggero, che per la quantità di regole si adatta anche a giocatori alle prime armi, ma che per profondità farà felici gli amanti del genere e in generale tutti gli amanti dei giochi di combo, grazie alle tantissime strategie possibili e a un setup sempre diverso. Tra l’altro è già stato accolto con enorme interesse anche da diversi editori esteri.

E non è certo il tuo primo titolo ad aver raggiunto questo grado di successo. Se guardi indietro, quali sono stati i giochi più significativi per la tua carriera?

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Ti citerei sicuramente Guilds (il primissimo gioco che ho creato, anche se non è stato il primo edito), Origami (un eccellente gioco di combo che è stato ad oggi il mio gioco più venduto all’estero), “Un giorno da Cana” (il mio inizio come sceneggiatore di fumetti e il mio ingresso nel settore della narrativa a bivi), It’s a Bomb (sicuramente una delle mie opere migliori per dinamiche al tavolo oltre che il mio primo cooperativo, per quanto molto fuori dai normali canoni) e infine la serie delle Mini Escapes (con cui sono entrato da autore nel mondo delle escape room, che amo, e che considero un gioiello per rapporto costo/ore di gioco, oltre che un’idea produttiva che è stata una svolta importante per il periodo in cui è uscito).

Stiamo un momento su alcuni di quelli che hai appena nominato: “It’s a Bomb!”, per esempio, un gioco collaborativo asimmetrico a scenari nel quale bisogna tentare di disinnescare una bomba. Quali sono stati gli scenari più divertenti da creare e perché?

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In realtà ho amato creare tutti gli scenari, anche perché a parte i primi due che sono “introduttivi” alle meccaniche base, ognuno degli altri scenari ha una sua regola speciale nuova e/o dei componenti speciali. Invece i miei preferiti a livello di gioco, tra gli scenari della scatola, sono quello con i detonatori secondari, quello con il segnale disturbato e la doppia bomba.

E “Un giorno da Cana”? È uno dei tuoi titoli approdati anche in Paesi stranieri, superando le frontiere europee e raggiungendo addirittura Cina e Corea: quale pensi sia stato l’ingrediente che ha permesso questo grande salto?

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Sembra banale e un po’ pretenzioso, ma dipende banalmente dalla qualità del prodotto. Quando si tratta di convincere degli editori esteri a produrre quel gioco per il loro Paese, allora quello che conta è in gran parte il prodotto di per sé. Chiaramente questo discorso non è valido per le grandi holding (ad esempio Hasbro o Asmodee) che hanno già sedi in numerosi Paesi. Poi ovviamente ci sono anche altri fattori, ma avere un prodotto in grado di parlare ad un pubblico molto ampio e diversificato è fondamentale. Mi aiuta in questo anche il fatto di mettere normalmente al primo posto, in quello che creo, le dinamiche al tavolo e la componente emotiva.

Insomma, alle spalle hai un vero caleidoscopio di pubblicazioni: spazi da giochi da tavolo (anche molto diversi tra loro) ai fumetti-gioco. Approfitto quindi per chiederti di soddisfare una curiosità personale che mi pervade da sempre: ora che hai esplorato tanti campi diversi, quali sono le tue preferenze? Quanto diresti che corrispondono le tue preferenze da autore a quelle da giocatore? E, infine, esiste una tipologia di giochi che ti piace giocare, ma che non vorresti creare?

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Assolutamente no. Punto a creare quello che mi viene in mente. Ad esempio, pochi anni fa mi venne voglia di creare un fumetto gioco (genere che funziona bene in Francia ma era completamente morto in Italia) e mi sono impegnato a capire come creare qualcosa che potesse funzionare e raggiungere un pubblico ampio che nemmeno sapeva esistesse questo prodotto. La sceneggiatura era un campo totalmente nuovo per me ma da questo mio desiderio è nato prima Un giorno da Cana, assieme al geniale Stefano Tartarotti che ho poi coinvolto in molti altri miei progetti, e poi Avventure nello Spazio Profondo, fatto insieme al bravissimo Bigio.

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In generale a me piace il lavoro creativo, amo trasmettere emozioni alle persone: qualsiasi strumento per farlo mi va bene e mi diverte mettermi alla prova con cose nuove. È molto probabile che in futuro metta il piede anche in altri settori (ad alcune cose sto già lavorando, ma non posso parlarne).

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Per quanto riguarda le mie preferenze, gioco e amo sostanzialmente ogni tipo di gioco, e questo si riflette anche sulla varietà di titoli che ho pubblicato. Per mia scelta, però, come autore (per ora) non mi sono mai spinto oltre il gestionale di peso medio-basso, categoria in cui ricade ad esempio Guilds. Questo perché, nonostante mi diverta a giocare anche gli eurogame più lunghi e complessi (credo di aver giocato almeno una volta la quasi totalità dei pesi massimi usciti), non sono la mia prima scelta nelle serate con gli amici e non tutti i miei gruppi di gioco li apprezzano: va sempre ricordato che creare un gioco comporta molte decine di partite allo stesso gioco, prima di arrivare alla versione finale.

Dato che hai citato l’illustratore Stefano Tartarotti con cui ormai collabori da molto tempo, ci racconti come è nata questa collaborazione?

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Feci amicizia con lui al salone del libro nel 2018 e rimanemmo in contatto. Circa 6 mesi dopo mi misi in testa di creare un fumetto-gioco e velocemente mi resi conto che, per quello che volevo fare, lo stile di Stefano sarebbe stato perfetto. A gennaio 2019 ero a pranzo a casa sua (feci tappa mentre andavo a Ideag Parma) e gli proposi un fumetto a bivi basato sulle avventure della sua cagnolona, sulla quale già pubblicava piccole storielle e strisce monocromatiche. L’idea gli piacque e nell’arco di 18 mesi, un po’ a distanza e un po’ passando qualche weekend assieme, è nato Un Giorno da cana.

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Stefano è bravissimo, ma davvero fuori scala, e visto che ci trovammo benissimo a lavorare assieme, una volta diventato lead developer di GOG me lo sono “portato dietro”. Mai scelta fu più azzeccata visto che i suoi disegni sono stati davvero apprezzati dalla community dei giocatori. In questi anni tra noi si è creata una splendida sinergia.

Parliamo appunto di progetti in corso. In cosa consiste esattamente il tuo lavoro come lead developer per la GateOnGames (che, per chi non lo sapesse, è un grosso editore italiano)?

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Sostanzialmente mi occupo di tutti i passaggi legati alla nascita di nuovi giochi. È un percorso che inizia con la ricerca dei prototipi e la valutazione di quali possono rientrare nelle nostre linee, ma talvolta vuol dire anche ideare nuove linee di prodotti, come è successo ad esempio per le collane di libri-gioco. Una volta avuto il via libera per la produzione da Mario Cortese (il titolare di GateOnGames), seguo tutto l’iter di sviluppo, il che significa: la messa a punto del gioco assieme all’autore (quasi mai un gioco è già pronto per essere pubblicato, quando ci arriva), le varie fasi di playtest, la stesura del regolamento finale, il seguire l’illustratore per la creazione delle immagini e infine il coordinarmi con il reparto grafico di GOG (capitanato dalla bravissima e insostituibile Margherita Cagnola) che si occupa dell’impaginazione di manuale, carte, tessere e scatola. Sono inoltre il curatore editoriale delle loro attuali collane di libri-gioco (romanzi, antologie e romanzi brevi) e in generale dei loro prodotti librari.

Bene, dopo questa panoramica mi sembra giusto chiudere con la domanda più canonica del mondo: quali nuovi progetti vede Christian Giove nel suo futuro?

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Beh, questo autunno però arriveranno sugli scaffali almeno due miei nuovi giochi. Uno è Alpaca, di cui vi ho parlato prima e che sarà illustrato da Stefano Tartarotti col suo inconfondibile stile puccioso. L’altro è invece l’atteso terzo capitolo della mia collana Mini Escapes: come i precedenti, conterrà 3 escape room tascabili da circa 1h di gioco l’una, sempre basate sul sistema “unfolding escapes” che ho ideato l’anno scorso; questo nuovo capitolo si intitolerà “Ultimo Viaggio in Antartide” e troverete nuovamente come protagonista Emily Mound, in una nuova spedizione che partirà dopo la fine delle sue avventure in Sud America raccontate nel primo volume.

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Parlando invece di progetti non ancora annunciati, sto lavorando a diversi nuovi giochi ma purtroppo di alcuni non posso proprio parlare, mentre di altri sono costretto a tenermi vago. Posso ad esempio rivelarvi che sto lavorando a un progetto ludico collegato a Simple&Madama, nel quale mi hanno coinvolto i suoi autori (Lorenza di Sepio e Marco Barretta): anche in questo caso abbiamo stretto amicizia alcuni anni fa a un Salone del Libro e siamo poi rimasti in contatto. E da cosa nasce cosa. ^_^

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Invece parlando dei miei giochi futuri a marchio GateOnGames posso solo rivelarvi che sto lavorando a un prodotto molto particolare che sarà una sorta di dungeon crawler super immediato e tascabile, oltre che a un gioco di cui vado molto fiero a tema lovecraftiano, con un’interessante componente narrativa e incentrato su una meccanica a cui ancora non mi ero approcciato. Quasi dimenticavo! A breve verrà annunciata sui canali GOG anche un nuovo prodotto che penso sarà molto apprezzato dagli aspiranti autori (ai quali ricordo anche di non perdersi la terza stagione del Twitch Pitch).

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Poi, credo sia inutile dirlo, prosegue a pieno regime anche il mio lavoro di sviluppatore su giochi di altri autori, sia sulla collana Mini Crimes (per la quale sto sviluppando la terza stagione con altre super novità a livello di autori coinvolti) che su moltissimi altri progetti GOG dei quali però non posso ancora parlare.

Poter chiacchierare a tu per tu con un autore che si stima e di cui si amano diversi titoli è sempre davvero emozionante, soprattutto quando lo si è potuto fare nella propria città, davanti ad una birra, proprio prima di giocare a Mini Escapes!
Non possiamo quindi far altro che ringraziare Christian per il piacevole tempo trascorso insieme e la sua gentilezza.
La ripresa di alcune domande già poste in questa intervista è stata voluta, così da cercare un dialogo virtuale tra autori diversi su alcune questioni che riteniamo fondamentali e offrire al pubblico diversi punti di vista.
Speriamo di aver aperto qualche ulteriore spiraglio su questo mondo ancora in ombra e di essere riusciti ad accompagnarvi alla scoperta di qualcosa di nuovo sul fantastico e sfaccettato universo dei giochi da tavolo. Alla prossima!

Eris.in.Boardgameland

Eris.in.Boardgameland

Esuberante e chiacchierona con la passione per i Giochi da Tavolo e di Ruolo, pronta a dispensar consigli.